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La storia della Spada di Damocle

    A tutti noi è capitato di avere a che fare con la cosiddetta “Spada di Damocle”, e molti si saranno di sicuro chiesti chi fosse questo Damocle e perché la spada gli incutesse tanto timore.

    La spiegazione, come spesso accade, è da ricercare nella buona vecchia cultura classica greca.

    La leggenda che sta alla base del modo di dire pare sia stata narrata per la prima volta da Timeo di Tauromenio (356 – 260 a.C.), uno storico, nella perduta “Storia di Sicilia”.

    La vicenda deve però tanta popolarità a Cicerone, che la riprese nel “Tusculanae disputationes”. Damocle e la temuta spada vengono poi ripresi anche da autori come Orazio, Persio e Boezio.

    La storia si svolge alla corte di Dionigi I, tiranno di Siracusa, di cui Damocle è membro.

    Dimostrando un’astuzia non proprio da volpe, il buon Damocle, un giorno, sostiene alla presenza del tiranno che la vita del regnante sia estremamente fortunata.

    Lusso, agi, potere, autorità: questi sono i privilegi che Damocle invidia a Dionigi.

    Il tiranno, dando prova di pazienza e acume, gli propone allora il più classico degli scambi: per un giorno Damocle prenderà il suo posto.

    E pensare che, all’epoca, “Il Principe e il povero” non era stato scritto e “Re per una notte” di Scorsese non era ancora uscito.

    Damocle, da buon boccalone (o forse solo per esigenze di trama), non sente puzza di fregatura e accetta con entusiasmo.

    La sera viene imbandito un grande banchetto.

    A Damocle non pare vero di poter sfruttare tanto lusso: il sorriso gli si allarga fino alle orecchie e gli occhi sembrano girandole luminose.

    Cibo sontuoso servito da bellissimi giovinetti, la corte che non ha occhi che per lui.

    A un certo punto, però, l’idillio si rompe.

    Qualcuno, magari lo stesso Dionigi, gli indica col ditino un punto sopra la sua testa.

    Solo allora, Damocle si accorge che sul suo capo pende una spada, tenuta sospesa da un sottile crine di cavallo.

    Ce l’ha fatta mettere Dionigi, per dimostrargli che la vita del sovrano non è solo lusso e agi, ma che anzi è continuamente sospesa a un filo, proprio a causa delle responsabilità e dell’invidia di gente come Damocle.

    Il giovane, a quel punto, prende una scusa e mette fine allo scambio.

    “Da un grande potere derivano grandi responsabilità”, come sa chiunque abbia letto “L’uomo ragno”.

    A proposito, sapete che lo zio Ben non disse mai niente del genere, almeno nelle tavole a fumetti? Ma questa è un’altra storia.

    Insomma, nei secoli il modo di dire è rimasto, a simboleggiare un pericolo sfuggente che ci incombe sulla testa e che potrebbe a ogni momento palesarsi.

    Il significato (la morale, potremmo dire) si è però un po’ perduto, ovvero che dovremmo stare attenti a invidiare qualcuno che pensiamo abbia più di noi, perché non è detto che la sua posizione sia più comoda della nostra.

    Il dipinto che illustra la leggenda è di Richard Westall, pittore vittoriano nel senso più letterale del termine, dato che fu insegnante di disegno della regina Vittoria.

    Celebre per ritratti, paesaggi e soprattutto per il “pittoresco”, Westall illustra la storia di Damocle con grande tecnica e un gusto neoclassico al limite dello stile pompeiano di Alma-Tadema.