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Diego Velázquez, il padre del Barocco spagnolo

    Il 6 agosto 1660 moriva a Madrid l’artista che raccontò la vita alla corte di Filippo IV di Spagna

    Nel 1865 il pittore impressionista Edouard Manet si trovava a Madrid e, in visita al museo reale, andò alla ricerca delle tele di Diego Velázquez, uno dei padri dell’arte seicentesca europea.

    Quando le vide ne restò estasiato, tanto che in seguito scrisse a un amico: «i pittori di tutte le scuole che sono intorno a lui al museo e che sono ben rappresentati, sembrano tutti insignificanti accanto a lui. È il pittore dei pittori, non mi ha stupito, mi ha rapito».

    A partire dal XIX secolo la fama di Velázquez si accrebbe anche fuori dai confini spagnoli, e non solo assunse un ruolo importante nella formazione artistica di Manet, ma suscitò anche l’ammirazione di autori del calibro di Pablo Picasso, Francis Bacon o Salvador Dalì che lo omaggiarono riproponendo con il proprio stile alcuni dei suoi capolavori.

    La prima formazione

    Diego Rodríguez de Silva e Velázquez era stato battezzato il 6 giugno 1599.

    La data di nascita è incerta, probabilmente fu il giorno prima. I suoi genitori abitavano a Siviglia, all’epoca una città ricca e cosmopolita in Andalusia, nella Spagna meridionale.

    Suo padre era un uomo di origine portoghese (e forse anche di ascendenze nobiliari) di nome Juan Rodríguez de Silva.

    Secondo una leggenda di famiglia i de Silva derivavano addirittura da Enea Silvio, un antico re di Albalonga.

    La madre del pittore si chiamava Jerónima Velázquez ed era figlia di un commerciante.

    Come spesso accadde per i grandi geni dell’arte, anche Diego manifestò doti artistiche precoci che spinsero i genitori a mandarlo a lezione da Francisco Herrera, un pittore molto abile ma altrettanto scorbutico, motivo per cui Diego, presto stufo dei modi del maestro, interruppe le lezioni.

    Il suo principale maestro fu l’artista Francisco Pacheco, autore di un trattato sulla pittura (pubblicato postumo nel 1649) ed esaminatore di quadri per conto dell’Inquisizione che lo istruì non solo nella pittura ma anche in altre discipline umanistiche.

    Nel 1618 gli concesse in moglie sua figlia, la sedicenne Juana.

    La donna, oltre a posare in alcuni dipinti del marito, gli diede due figlie: Francisca, nata nel 1619 e Ignacia nel 1621.

    In seguito Francisca avrebbe sposato Juan Bautista Martínez del Mazo, un seguace del padre. Ignacia invece morì in tenera età.

    L’importanza della luce

    Considerato il contraltare spagnolo di Caravaggio, con cui aveva, in effetti, molte affinità stilistiche, Velázquez, in parte influenzato anche dalla pittura fiamminga, utilizzava i giochi di luce e oscurità per fare risaltare i propri soggetti, conferendo loro drammaticità e una forte monumentalità.

    Inoltre, in gioventù si specializzò nel bodegón, ovvero nella pittura di genere spesso ambientata nelle osterie con protagonisti i loro umili avventori, un genere molto in voga soprattutto a Siviglia in quegli anni.

    Attraverso il genere del bodegón prima e nella ritrattistica dopo, Velázquez “fotografò” espressioni e momenti di vita con estremo realismo e cura minuziosa dei dettagli.

    Pittore di corte

    Ben presto però la città andalusa iniziò ad andargli stretta; Velázquez aveva ben altre ambizioni e aveva deciso di voler entrare nella corte reale di Madrid. Filippo IV era appena salito al trono e si diceva che il suo più stretto collaboratore, il conte duca Gaspar Guzman de Olivares, originario di Siviglia, fosse sempre disponibile a favorire i suoi concittadini più meritevoli.

    Velázquez decise di approfittarne e nel 1622 partì per la capitale ma non riuscì a ritrarre il sovrano, dovendosi accontentare del cappellano reale Don Juan de Fonseca e il poeta Luis de Góngora y Argote.

    Quest’ultimo dipinto fu realizzato su richiesta del suocero che voleva includerlo in un libro dedicato ai ritratti degli uomini illustri che stava scrivendo in quel momento, poi rimasto incompiuto.

    Non passò molto tempo che il re, accortosi della bravura del pittore probabilmente dopo aver visto il ritratto del cappellano, lo fece chiamare a corte per farsi fare un ritratto.

    Entusiasta, lo nominò immediatamente pittore di corte, carica che mantenne fino alla morte.

    Tra Velázquez e Filippo IV s’instaurò da quel momento in poi un rapporto di stima e amicizia tanto che, quando morì il pittore, il sovrano ne rimase profondamente affranto.

    A corte, oltre a rappresentare i reali e i cortigiani, cercando di metterne in luce le caratteristiche psicologiche attraverso atteggiamenti e sguardo, s’interessava a chi lavorava “dietro le quinte”, ovvero ai servitori, dipingendoli con pari dignità dei suoi mecenati. Per esempio, spesso raffigurò dei nani – che a corte svolgevano per lo più il ruolo di buffone, date le caratteristiche fisiche insolite che all’epoca erano considerate bizzarre e curiose – evidenziandole l’umanità e il carattere a differenza degli altri artisti del tempo che in genere li relegavano nelle tele a mo’ di altri accessori di contorno.

    In giro per l’Italia

    Nell’agosto del 1629 il re gli accordò il permesso d’imbarcarsi per intraprendere un viaggio in Italia e gli fornì anche una cifra sostanziosa per mantenersi.

    Non si trattava ovviamente di un viaggio di piacere, ma di un’esperienza di studio, dove si sarebbe aggiornato sulla pittura italiana e avrebbe acquistato varie opere d’arte per la collezione del sovrano.

    Inoltre, avrebbe avuto l’opportunità di farsi conoscere fuori dai confini spagnoli, incontrando nuovi mecenati.

    Sbarcato a Genova, visitò varie città del nord, come Milano e Venezia, studiando i maestri del Rinascimento e soprattutto la scuola veneta che influenzò molto il suo modo di dipingere.

    Fece tappa anche a Cento, una località in genere fuori dai tour degli artisti: era però la città natale del Guercino, che Velázquez volle conoscere personalmente.

    Poi si trasferì a Roma, dove rimase per tutto l’arco del 1630 ad ammirare i capolavori vaticani di Michelangelo, Raffaello e Caravaggio.

    Secondo alcuni, a Roma Velázquez concepì un figlio illegittimo che fu chiamato Antonio.

    Intanto, il re premeva perché tornasse in patria e alla fine, dopo un’ultima tappa a Napoli, rientrò in Spagna e riprese le sue attività consuete.

    Tra queste vi fu la realizzazione del primo ritratto di Baltasar Carlos, il figlio del re nato durante l’assenza del pittore.

    Il principino fu raffigurato più volte dal pittore fino alla sua morte prematura avvenuta quando aveva appena diciassette anni.

    Quello appena compiuto non sarebbe stato l’unico viaggio di Velázquez nella penisola: circa vent’anni dopo vi fece ritorno, nel pieno della maturità artistica, e a Roma realizzò il celebre ritratto del papa Innocenzo X

    Contro la schiavitù

    Secondo la tradizione, Velázquez, prima di cimentarsi con un ritratto così importante, si era esercitato dipingendo il suo servitore meticcio, un morisco di nome Juan de Pareja, a cui poco dopo diede la libertà. L’unica condizione che l’artista pose in cambio dell’affrancamento fu di continuare a lavorare per lui ancora per qualche tempo.

    In seguito Juan, grazie a tutto quello che aveva appreso negli anni al servizio di Velázquez, si mise a lavorare come pittore autonomo.

    Sembra che Velázquez sostenesse la tutela della dignità degli schiavi: oltre l’affrancamento di Juan de Pareja, si è a conoscenza di un suo intervento presso il re per la liberazione di uno schiavo che lavorava in catene nelle sue cucine.

    Tornato definitivamente in Spagna, rimase per tutto il resto della sua vita a lavorare presso il re.

    Con le sue pennellate materiche e dense, con i giochi di luce a metà strada tra Caravaggio e i veneti, raccontò la sontuosità della Spagna barocca, cogliendo lo scorrere del tempo, le tensioni interiori delle persone da lui ritratte e le ipocrisie e ambiguità della vita di corte.

    Nel 1658 ottenne un riconoscimento che desiderava da tempo: Filippo IV lo nominò cavaliere dell’ordine di Santiago.

    Si spense il 6 agosto 1660, seguito dopo qualche giorno dalla moglie Juana.

    Fu sepolto in una chiesa madrilena, rasa al suolo intorno al 1809 per far spazio a una costruzione voluta da Giuseppe Bonaparte e che comportò la dispersione dei suoi resti.