Teofilo Patini nacque a Castel di Sangro (Aq) nel maggio del 1840.
Dopo una fase di studio della Filosofia, presso l’Università di Napoli, si iscrisse, nel luglio del 1856, ai corsi di pittura dell’Accademia di Belle Arti della stessa città.
Ebbe come maestri Giuseppe Mancinelli, Giovanni Salomone, Biagio Molinari, e si legò presto al gruppo di pittori che faceva capo a Filippo Palizzi e di questo fu fervente allievo.
Fece viaggi di studio a Firenze (1868) e a Roma (1870) per poi far ritorno a Castel di Sangro nel 1873.
Nel 1882 fondò la Scuola di Arti e Mestieri a L’Aquila.
Alla sua morte, avvenuta il 16 novembre 1906, fu sepolto nel Cimitero Monumentale di Poggioreale a Napoli, nel settore dedicato agli artisti; la Città di Castel di Sangro, di recente, ha richiesto alla Città di Napoli di poter traslare la salma in Castel di Sangro dove è stata realizzata una tomba, posta in evidenza, degna di tanto nome.
Lo stadio della squadra di calcio del Castel di Sangro è stato intitolato “Teofilo Patini” in suo onore. Inoltre varie scuole portano il suo nome, quali il liceo scientifico di Castel di Sangro e una Scuola Media dell’Aquila.
Gli è stata dedicata la centralissima “Piazza Patini” in cui è stato anche edificato un monumento in suo onore.
Da profondo e puro socialista qual era, dipinse quadri ritraenti la civiltà contadina abruzzese di fine ‘800 e primi del secolo scorso, mettendo in rilievo la condizione di povertà della regione e la capacità di resistenza e di sacrificio della popolazione; la pittura fu, oltre che la sua profonda passione, il megafono con il quale urlava al mondo le misere condizioni del suo popolo: megafono che idealmente consegnerà a Ignazio Silone, lo scrittore di Fontamara. Si rivolse, comunque, anche a rappresentazioni di immagini sacre, sia in dipinti che in affreschi.
In particolare, tre sue opere ebbero una forte connotazione politica e per questo, idealmente, vengono considerate come facenti parte di una “trilogia”: Vanga e latte (1884, Roma, Ministero dell’Agricoltura), L’erede (1880, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna) e Bestie da soma (1886, Castel di Sangro, Pinacoteca Patiniana).
Questi, i cosiddetti quadri della “Trilogia Patiniana”, sono documenti espliciti di denuncia e provocazione sociale, attraverso i quali l’artista si propone di urtare i nervi delicati di chi porta guanti e calze di seta mostrando povertà, sudore e il duro lavoro del proletariato rurale.
L’opera Bestie da Soma, che in basso a destra è firmata e datata “Patini 1886”, fu mostrata nel 1887 all’Esposizione Nazionale di Venezia ed è stata preceduta da diversi studi preparatori, tutti condotti a Castel di Sangro, nell’orto della sua casa natale e nella quale ancora vivevano i suoi fratelli e sua madre. Dipinta in un paesaggio meticolosamente descritto, tipico dell’entroterra montuoso abruzzese, esprime tutta la sua solennità.
La tela, che aderisce fervidamente alle istanze sociali veriste, ritrae, con figure a grandezza naturale, un episodio di vita quotidiana: tre donne vengono colte in un momento di pausa, dopo essersi recate in montagna per la raccolta della legna da ardere. I loro volti e le loro mani sembrano esprimere molto bene la sofferenza e la durezza del lavoro. Le donne che Patini ritrae non sono il frutto della sua fantasia ma lo studio scrupoloso della realtà condotta en plein air. L’artista con quest’opera vuole dimostrare la sua contrarietà nell’affidare alle donne lavori inadeguati alle loro forze.
Il volume delle figure viene reso attraverso una tavolozza colma di colori, che assorbono in sè la luce per mezzo di un’ampia pennellata. L’interpretazione rigidamente oggettiva della realtà assume un valore storico: una storia “minore” di piccoli eventi quotidiani raccontata dai protagonisti. Queste e molte altre opere del Patini sono conservate all’interno dell’antico Palazzo De Petra a Castel di Sangro.
Considerazioni
Grande artista, importanti nelle sue opere sono la luce e i colori che lo avvicinano ai Macchiaioli toscani e i soggetti dove esprime la grave situazione di povertà e di indigenza in cui erano venuti a trovarsi le popolazioni dell’Abruzzo e del sud Italia subito dopo l’ Unità d’Italia.
” Bestie da soma ” con le donne costrette a portare grossi carichi di legna sulle spalle è un atto di denuncia della grave situazione in cui le donne erano venute a trovarsi anche a causa delle leggi imposte dal governo dei Savoia: la leva obbligatoria per cinque anni che toglieva la manodopera giovanile e gli uomini in grado di lavorare erano in montagna con le greggi o a vangare e dissodare il terreno pertanto le donne erano costrette a fare il duro lavoro che avrebbero dovuto fare gli uomini con l’aiuto dei muli.
Se Patini è poco conosciuto al grande pubblico in parte è dovuto anche al fatto che il Governo piemontese cercò in tutti i modi di screditare quanto di buono c’era nella cultura meridionale.