Direttiva del ministero: «Limiti da giustificare».
di Flaminia CAMILLETTI
Avanti a 30 all’ora, ma non per molto.
Fino a ieri infatti è proseguita l’entusiasta crociata del sindaco di Bologna, che però dovrà mettere un freno anche ai suoi entusiasmi perché il ministero dei Trasporti ieri sera ha emanato una nuova direttiva.
Obiettivo: impedire che si possano disegnare zone con deroghe ai limiti di velocità senza specifiche motivazioni.
Oggi la definizione di zone 30 è una bandiera ideologica sventolata da qualcuno e sprovvista di qualunque criterio di scientificità e di tecnicalità che la supporti, chiarisce il viceministro dei
Trasporti, annunciando l’emanazione della nuova disposizione.
La direttiva, che naturalmente ha valenza nazionale, imporrà ai Comuni di fornire i requisiti necessari per l’applicazione di zone 30 all’interno dei territori urbani.
In sostanza bisognerà fornire spiegazioni e motivarle.
Le deroghe dei limiti di velocità (anche per quanto riguarda le deroghe in eccesso) dovranno essere giustificate su strade e tratti di strade in maniera specifica e non per una generica e astratta motivazione.
Nei tratti stradali in cui si intende modificare il limite, bisognerà dimostrare ad esempio un alto traffico pedonale, o la presenza di un asilo, di una scuola o di qualsiasi altro luogo sensibile.
Non si potrà più suddividere un territorio urbano in zone, come ad esempio accaduto a Bologna, con strade diverse su cui imporre i 30 km/h in maniera generica.
Praticamente non si potrà più imporre una deroga al limite di velocità imponendola per ideologia.
Quanto fatto fin qui può rivelarsi infatti anche dannoso, spiega il vice-ministro.
Come precedenti provvedimenti hanno già dimostrato, se si applica una zona 30 in maniera indistinta non si rendono riconoscibili i punti più sensibili.
In sostanza se si mette all’ingresso di Bologna un cartello con la scritta “zona 30” e poi non si fa più nulla, non si capisce quando bisogna prestare maggiore attenzione: ad esempio quando si imbocca una strada tortuosa, quando c’è l’assenza di marciapiedi, quando ci sono gli asili o le chiese.
A questo va aggiunto, come già scritto su queste colonne, che la crociata delle città a 30 all’ora sembra attivare un cortocircuito con un’altra battaglia su cui da tempo ha messo il cappello la sinistra: quella della lotta allo smog.
Coincidenza (o sfortuna) vuole che proprio nelle settimane in cui è entrata in vigore la legge dei 30 all’ora a Bologna, si siano registrati dei picchi di smog anomali.
Bologna è infatti coperta da una cappa di inquinamento che supera i valori limite da oltre otto giorni consecutivi.
Nonostante le evidenze, la malattia dilaga.
Sì perché adesso anche il sindaco di Roma ha deciso di abbracciare con entusiasmo questa moda. Il primo cittadino della Capitale, noto per gli slogan, vuole passare quindi dalla città in 15 minuti alla città a 30 chilometri orari.
Verrebbe da dire che non c’è bisogno di fissare nuovi limiti di velocità nella Città eterna, visto che vengono imposti comunque dal costante traffico cittadino, che anche volendo impedisce qualsiasi velleità.
Al sindaco però non interessa, perché ha già dichiarato di aver individuato 70 aree della città su cui imporre una deroga ai limiti di velocità, che abbassi limite a 30 km/h, con l’obiettivo di arrivare gradualmente al 70% delle strade romane.
In una città in cui non si rispettano le regole basilari del codice della strada, figuriamoci se si è in grado di controllare che le auto rispettino un limite d 30km/h.
Chiedo scusa ma al termine di queste brevissime considerazioni chiedo per un amico.
La Direttiva ministeriale è indirizzata ad una Associazione.
Ergo i Comuni che non aderiscono ad Anci non sono tenuti al rispetto ed applicazione dei contenuti della direttiva?
Il mio modesto punto di vista è che le direttive si fanno con decreto, si pubblicano in Gazzetta Ufficiale e si comunicano agli enti tramite le Prefetture.