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Telecamere sulle strade

    A determinate condizioni i privati possono riprendere anche le zone pubbliche: il cittadino che vive in una condizione ambientale contrassegnata da minacce, violenze e danneggiamenti regolarmente denunciati potrà installare telecamere di videosorveglianza che puntano anche sulla strada purché l’impianto sia regolarmente segnalato e conservi le immagini per un periodo di tempo limitato.

    di  Stefano Manzelli – Coordinatore sicurezza urbana

    Lo ha chiarito il Garante per la protezione dei dati personali con il provvedimento n. 339 del 6 giugno 2024.

    Un gruppo di cittadini ha segnalato all’Autorità l’istallazione di alcune telecamere private che riprendono anche le strade pubbliche. Il Garante ha delegato il Nucleo speciale tutela privacy della Guardia di Finanza, il quale, dopo aver effettuato un sopralluogo, ha evidenziato l’attivazione di un sistema di telecamere rivolto verso l’area pubblica da parte di una famiglia che, dopo aver subito minacce e intimidazioni, regolarmente denunciate, ha deciso di attivare un sistema di videosorveglianza.

    A parere del Collegio questa installazione risulta regolare, eccetto per i tempi troppo dilatatati di conservazione delle immagini. Specifica, infatti, il provvedimento che l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza da parte dei privati nelle aree di diretto interesse deve ritenersi, in linea di massima, escluso «dall’ambito di applicazione materiale delle disposizioni in materia di protezione dati, perché rientranti tra i trattamenti effettuati per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale e domestico». Ciò però, a condizione che l’ambito di comunicazione dei dati non ecceda la sfera familiare del titolare, le immagini non siano oggetto di comunicazioni a terzi o diffusione e che il trattamento non si estenda oltre gli ambiti di stretta pertinenza riprendendo immagini in aree comuni, luoghi aperti al pubblico, o aree di pertinenza di terzi.

    Al riguardo si evidenzia che la Corte di Giustizia dell’Unione europea, con sentenza dell’11 dicembre 2014, si è espressa nel senso che: «l’utilizzo di un sistema di videocamera installata da una persona fisica nella propria abitazione familiare per proteggere i beni, la salute e la vita degli abitanti ma che riprende parimenti lo spazio pubblico, non rientra in un’attività esclusivamente personale o domestica, essendo il trattamento dei dati che ne deriva diretto verso l’esterno della sfera privata della persona che procede allo stesso. Ne discende quindi, che è possibile installare sistemi di ripresa video, senza dover adempiere agli obblighi previsti dalle norme in materia di protezione dei dati personali, purché l’angolo di visuale delle telecamere sia limitato alle sole zone di propria pertinenza, anche eventualmente attraverso l’attivazione di una funzione di oscuramento delle parti eccedenti, nella prospettiva tuttavia, che un minimo coinvolgimento in prossimità degli accessi può ritenersi ammissibile. In casi eccezionali in presenza di situazioni di rischio effettivo, il titolare del trattamento può, sulla base di un legittimo interesse, estendere la ripresa delle videocamere anche ad aree pubbliche o aperte al pubblico, immediatamente prossime a quelle di pertinenza, a condizione che lo spazio pubblico ripreso sia solo quello immediatamente prospicente gli ingressi e le finestre della propria abitazione e che tale estensione risulti necessaria e proporzionata, in relazione al contesto, per assicurare una protezione efficace. In questi casi è tuttavia necessario che l’entità e l’attualità della minaccia siano adeguatamente documentate».

    Nel caso sottoposto all’esame del Collegio, conclude il provvedimento: «alla luce delle risultanze acquisite – con particolare riferimento alla denuncia per atti di vandalismo e danneggiamento avvenute nei pressi dell’abitazione nonché alle successive denunce agli atti, presentate per atti diffamatori e minacce – si ritiene tuttavia che risulta comprovato l’interesse legittimo a supporto di tale trattamento e che l’impostazione delle aree riprese, rilevata in sede di accertamento, sia proporzionata al caso di specie». In merito ai cartelli riportanti l’informativa breve predisposti, si osserva che erano ben visibili e, tenuto conto del particolare contesto urbano, il loro posizionamento consentiva agli interessati di identificare indirettamente la titolarità del trattamento dei dati effettuato. Si evidenzia inoltre, in un’ottica di piena conformità alle disposizioni, che «il titolare ha in ogni caso immediatamente adeguato le informazioni riportare sugli stessi, includendo una chiara indicazione del proprio nome in qualità di titolare del trattamento».

    Dagli accertamenti è infine, emerso che il sistema conservava immagini per oltre 3 mesi: alla data dell’accertamento ispettivo effettuato il 30 gennaio 2024, era possibile consultare immagini a partire dal 21 ottobre 2023. Al tal proposito, si rileva che «le immagini sono state pertanto conservate per un periodo di tempo non proporzionato rispetto alle finalità del trattamento, in violazione dei principi di minimizzazione dei dati e di limitazione della conservazione, ai sensi dell’art. 5, par. 1, lett. c) ed e), del regolamento. Seppure la decisione in merito ai tempi di conservazione dei dati sia in capo al titolare del trattamento, il tempo di conservazione non può eccedere, in casi come quello oggetto del provvedimento, di massima e salve comprovate esigenze, allo stato non rilevate, alcuni giorni. Con riferimento a questo specifico aspetto, pertanto, si sono rilevate le predette violazioni in relazione ai tempi di conservazione delle immagini. A tal proposito, si evidenzia comunque che il titolare del trattamento ha immediatamente proceduto a ridurre i tempi di conservazioni delle immagini per un periodo che si ritiene in linea con le finalità perseguite». 

    L’Autorità si è dunque, limitata ad ammonire il titolare del trattamento per aver impostato, inizialmente, tempi di conservazione delle immagini eccessivamente lunghi.