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Villa dei Papiri, la biblioteca nascosta di Ercolano

    Nel 1750 nella città romana di Ercolano venne scoperta una fastosa residenza che era rimasta sepolta in seguito all’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.

    Al suo interno ospitava magnifiche opere d’arte e una grande biblioteca di quasi duemila testi filosofici

    La villa dei Papiri di Ercolano era decorata da numerosi affreschi

    La terribile eruzione del Vesuvio, avvenuta nel 79 d.C., sommerse di pomici e lapilli la splendida città di Pompei e, con le sue colate di lava, segnò la fine di altri centri come Oplontis, Stabia ed Ercolano, situati lungo la vicina zona costiera.

    Pompei fu quindi coperta dalla pioggia di materiale infuocato espulso dal vulcano mentre Ercolano, più vicina alle falde del Vesuvio, venne sepolta da uno spesso strato di magma.

    Questa piccola e prospera città di commercianti, persone facoltose e ricchi villeggianti rimase sepolta sotto quel fango, che si sarebbe poi solidificato sopra le case e le centinaia di abitanti arsi vivi.

    E così, nascosta da uno strato di melma spessa circa venti metri, la bella Ercolano venne praticamente dimenticata sino a quando, moltissimi secoli dopo, ovvero a metà del XVIII secolo, cominciò a tornare alla luce.

    Anche Pompei fu riscoperta più o meno nello stesso periodo grazie agli scavi archeologici iniziati e patrocinati dall’allora re di Napoli, il futuro Carlo III di Spagna, e diretti dall’ingegnere militare aragonese Roque Joaquín de Alcubierre.

    Gli scavi proseguirono per decenni e solo alla fine del XX secolo gli archeologi riuscirono a ottenere informazioni soddisfacenti.

    Un palazzo maestoso

    Tra le ville signorili della città, la più spettacolare e lussuosa era quella che conosciamo oggi come villa dei Papiri. Questa fu edificata nel I secolo a.C. dal facoltoso e potente patrizio romano Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Gaio Giulio Cesare nonché avversario politico di Cicerone. Si trattava di un imponente palazzo di tre piani che si ergeva su una collina prospiciente il mare. Misurava all’incirca 250 metri di lunghezza e ospitava un magnifico patio centrale con un grande stagno, o piscina, lungo più di sessanta metri e circondato da un elegante peristilio, un giro ininterrotto di colonne. Un raffinato giardino in leggera pendenza si affacciava sul Tirreno e conduceva al porticciolo, permettendo di godere dall’alto di una spettacolare vista sulla costa. L’insieme architettonico era decorato con lusso da numerose pitture, mosaici e marmi, statue, mobili ricercati e una meravigliosa biblioteca, l’unica dell’antichità classica giunta intatta fino ai nostri giorni.

    Uno dei papiri scoperti nella biblioteca della villa. Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli

    Dal 1750 al 1764, sempre sotto il patrocinio di Carlo di Borbone, l’ingegnere militare Karl Weber, subentrato ad Alcubierre, diresse in modo esemplare gli scavi di Ercolano. Fu lui a disegnare la pianta del magnifico edificio, con un’attenzione al dettaglio ancora oggi ammirevole. 

    Purtroppo l’esplorazione del complesso risultò molto difficile e rischiosa a causa dello spesso strato di fango, e fu possibile grazie a un sistema di tunnel e pozzi che perforavano la lava pietrificata dura e compatta. Sin da subito, però, i ritrovamenti si mostrarono in tutto il loro splendore: circa cento sculture di bronzo e marmo, molte delle quali busti di filosofi e personaggi illustri e, soprattutto, i resti di una grande biblioteca, che accoglieva pressoché 1.800 rotoli di papiro, neri e carbonizzati. Si tratta senza dubbio della più grande collezione di papiri greci e di sculture antiche mai rinvenuta all’interno di un unico edificio in tutto il mondo romano.

    Gli scavi della villa sono poi ripresi in campagne più recenti, come quelle degli anni 1996-1998 e 2007-2009, che hanno permesso di recuperare un maggior numero di mosaici e sculture e hanno confermato la singolare bellezza e la ricchezza spettacolare della villa dei Papiri.

    Ubicata su un promontorio vicino al mare, ai piedi del Vesuvio, nel 79 d.C. Ercolano poteva contare su circa quattromila abitanti e si estendeva su una superficie di 20 ettari

    I papiri carbonizzati

    Nel XVIII secolo la scoperta dell’estesa collezione fu una notizia sensazionale, accolta con interesse e speranza dai neoclassici illuminati dell’Europa intera. Non pochi s’illusero di trovare alcuni dei capolavori ormai perduti dell’antichità e speravano che forse, tra quelle centinaia di papiri carbonizzati e anneriti, si nascondessero i testi di poeti e scrittori famosi. Sfortunatamente una parte dei papiri si deteriorò a causa di alcuni esperimenti, ma alla fine si riuscì a decifrarli grazie a una mirabile tecnica, seppur lenta e limitata dai numerosi buchi presenti nei testi. Verso il 1750 una macchina ideata a tale scopo dall’abate Antonio Piaggio permise di srotolare delicatamente una parte dei papiri e facilitarne così la lettura.

    Con delusione di certi classicisti, ci si accorse ben presto che nei papiri non era contenuta nessuna opera classica degna di nota o ascrivibile ad autori celebri. I testi erano redatti in greco e nella prosa di epoca ellenistica, e i rotoli facevano parte di una biblioteca specializzata in temi filosofici: contenevano testi di morale, retorica, musica, poetica, religione e storia della filosofia. Per la maggior parte i loro autori appartenevano alla scuola epicurea – una dottrina fondata sulla ricerca dell’equilibrio interiore, raggiungibile attraverso la conoscenza di sé, e l’atarassia, una condotta di vita lontana da ogni turbamento. Risultò pure che provenivano perlopiù dal fondo del filosofo Filodemo di Gadara (110-35 a.C. circa). Costui era già conosciuto come filosofo epicureo e come poeta. Cicerone lo nomina diverse volte quale amico intimo di Lucio Calpurnio Pisone e, inoltre, alcune sue poesie erotiche sono raccolte nella nota Antologia palatina.

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    I testi trovati confermavano perciò che Filodemo, nato in Siria e istruito in Grecia, dotto filosofo della scuola del Giardino – così veniva chiamata l’accademia di Epicuro –, si stabilì nei dintorni della villa appartenente alla famiglia dei Pisoni, sotto la protezione del potente amico Lucio. E in quel piacevole ritiro il filosofo esiliato compose alcuni scritti e poesie, per lasciarli poi nella propria biblioteca, sicuramente portata da Atene.

    Prima di salire sul trono, Carlo di Borbone patrocinò gli scavi a Pompei e a Ercolano. Ritratto di Anton Raphael Mengs, 1761

    Filodemo l’epicureo

    La presenza di libri greci in una città in cui si parlava latino potrà forse sembrare strana. Tuttavia, dobbiamo ricordare che i romani istruiti, e con una certa cultura, conoscevano bene il greco, allora parlato fluidamente nell’Italia meridionale. Inoltre, il greco continuava a essere la lingua di riferimento della filosofia. A Ercolano sono stati comunque rinvenuti diversi papiri in latino: forse doveva esistere un’altra biblioteca, latina, che non è giunta fino a noi. 

    Sui papiri sono copiati testi dello stesso Epicuro, tra cui i frammenti dell’importante trattato Sulla natura, una lunga opera in trentasette volumi purtroppo andata perduta, al pari di tante altre del maestro. Vi compaiono pure notevoli frammenti di alcuni libri che fanno parte del fondo più antico della collezione e che erano utilizzati da Filodemo per lo studio e l’esegesi. Sui papiri figurano anche testi di autori epicurei che prima conoscevamo solo di nome: Metrodoro, Demetrio Lacone, Colote e Zenone Sidonio, che era stato il maestro di Filodemo ad Atene.

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    Ma, come già detto, la maggior parte dei papiri contiene scritti di Filodemo di Gadara. Si tratta di una trentina di opere dell’erudito filosofo, amico e protetto di Lucio Calpurnio Pisone. I temi sono i più diversi, come suggeriscono i titoli: Contro i sofisti, Su Epicuro, Il buon re secondo Omero, Sulla pietà, Sulla morte, Sugli dèi, Sui vizi e le contrapposte virtù, Sulla conversazione, Sulla libertà di parola, Sulla musica, Sulla ricchezza, Sui componimenti poetici o Poetica, Sulla gratitudine, Sulla provvidenza, Su segni e apparenze, Retorica, Epistole…

    Ecco come appaiono oggi le rovine di Ercolano. Fotografia scattata dalla strada in discesa che porta al sito archeologico

    Ottimo conoscitore degli scritti di Epicuro, che cita con frequenza, esegeta e abile polemista avverso ad Aristotele e agli stoici, Filodemo spicca per le sue conoscenze vaste e variegate. Non scrisse solo sui soliti temi di filosofia, etica e logica, polemiche con le altre scuole filosofiche, ma pure su retorica, poetica, musica, e commentò i testi di Omero. Le sue opere testimoniano un’enorme cultura e un autentico interesse per la poesia e l’eloquenza. Filodemo si distaccava così in modo netto da Epicuro, che più volte aveva manifestato la sua opposizione a ogni insegnamento, perché considerava che questo non fosse necessario per fare della filosofia né importante per la conquista della felicità – e per questo era stato criticato duramente da Cicerone e poi da Plutarco.

    Filodemo credeva invece che la cultura, per quanto non necessaria, contribuisse ad arricchire la vita e a renderla più completa e felice. E, con il suo ampio bagaglio culturale, fu il primo a battersi contro la propaganda antiepicurea. 

    A livello di critica, sono molto interessanti le sue idee e i testi su poetica e musica, composti a partire dall’analisi di grandi poeti come Orazio e Virgilio. Innovatore fu pure il suo ampio studio sulla realtà delle scuole filosofiche, la sua Storia dei filosofi in dieci libri, opera perduta cui attinse Diogene Laerzio nel III secolo d.C. Una tale proposta culturale incontrava senz’altro i gusti del pubblico romano colto e benestante, interessato a formarsi nella raffinata paideia, l’educazione ellenistica.

    Una delle case rinvenute a Ercolano. Risale al I secolo d.C. ed è relativamente modesta (200 metri quadrati)

    Non solo: Filodemo fu pure un poeta originale e apprezzato. L’Antologia palatina ospita all’incirca trenta dei suoi epigrammi, soprattutto erotici, in cui l’autore racconta le avventure, le tresche con frivole etère o i banchetti in compagnia degli amici. In uno dei componimenti invita Pisone a una cena frugale e amichevole innaffiata dal vino, nella sua modesta dimora: una festa veloce, insomma, in onore di Epicuro.

    Nelle loro opere sia Cicerone sia Orazio nominano Filodemo, descrivendolo come dotto scrittore e poeta, buon conversatore ed erudito, sempre ai margini dei disordini politici del suo tempo. Fu, infatti, un intellettuale greco che seppe convivere in armonia con i sofisticati e raffinati patrizi romani – gli trasmise la sua vasta cultura, ovvero la filosofia e la letteratura – e preferì ritirarsi nel suo rifugio
    dorato a studiare, leggere, discorrere di libri con raffinati sodali, nonché abbandonarsi ad amori leggeri, senza pensieri né turbamenti, proprio come consigliava Epicuro. Mise saggiamente in pratica quel famoso consiglio epicureo, «vivi nascosto» (lathe biosas), e lo fece nell’idilliaca cornice della Campania.

    Un paradiso per i filosofi

    Filodemo non fu l’unico filosofo epicureo a stabilirsi nella dolce campagna italiana. Vicino al golfo di Napoli, e rispettivamente a Cuma e a Posillipo, si erano trasferiti pure Pompilio Andronico, anch’egli originario della Siria, e Sirone, amico di Filodemo nonché per un certo tempo maestro del giovane Virgilio; in quei luoghi meravigliosi godettero certamente della protezione amichevole di altri patrizi romani. 

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    Mentre Roma, rumorosa quanto monumentale, era il turbolento centro della repubblica, dilaniata da contrasti e guerre civili, in quell’armoniosa zona costiera si poteva trovare un conforto gradevole e raffinato: lo sapevano fin troppo bene i ricchi patrizi e i dotti epicurei. Lontano dalla tumultuosa Urbe, si poteva vivere piacevolmente e intessere amicizie, conversare di filosofia tra libri, statue e giardini e godere di panorami meravigliosi sul mar Tirreno.

    La villa e il Giardino

    Un’archeologa pulisce uno dei frammenti di affresco provenienti dalla villa dei Papiri. Solo un 25 per cento della villa è stato scavato.

    Concludendo, è degno di nota il fatto che le massime autorità epicuree a Roma nel I secolo a.C. facessero da contraltare all’ostilità che molti romani provavano per quella scuola edonista. I romani, infatti, apprezzavano di più il severo stoicismo, che presentava la virtù quale fine supremo, propugnava il compimento dei doveri civici e la fede nella provvidenza divina; proprio per questo, trovavano spesso scandalosi gli insegnamenti del materialista Epicuro, che credeva nel piacere, seppure inteso come assenza di dolore, quale base per la felicità, elogiava più l’amicizia della giustizia, invitava a ritirarsi dalla vita mondana, negava l’immortalità dell’anima e che gli dèi potessero occuparsi degli uomini

    Nonostante ciò, l’epicureismo romano visse il suo periodo di splendore nel I secolo a.C. Possiamo trovarne la testimonianza più indicativa nella villa dei Papiri che, grazie anche alla sua straordinaria biblioteca, emulava in modo sublime il Giardino di Epicuro ad Atene, polo di relazioni e di filosofia

    Per quanto possa sembrare un tragico paradosso, con la sua eruzione il Vesuvio permise di preservare il meglio di quel mondo ormai relegato all’oblio.